Una copertina della collana «Universale» (la prima edizione della monografia di Anthony Kenny su «Wittgenstein») disegnata da Enzo Mari, che nel 1967 vinse il premio Art Direction

È il 25 aprile 1945. Ludovico Geymonat vuole che nel colophon dei suoi Studi per un nuovo razionalismo , usciti per un piccolo editore (Chiantore), ci sia scritta, ben chiara, proprio quella data. La Liberazione doveva essere anche una liberazione da una morsa culturale in cui è stretto un Paese che ha abbracciato l’idea che i protagonisti della rivoluzione conoscitiva del Novecento non siano Einstein o Gödel o Freud, ma i pensatori del neoidealismo italiano. Un’idea che, secondo Geymonat, avrebbe condannato l’Italia a un eterno sottosviluppo, di cui auspicava la fine insieme a quella del regime fascista. Il suo ambizioso programma filosofico prevedeva la ricollocazione della scienza al centro di una concezione unitaria della cultura, non divisa assurdamente in umanistica da un lato e scientifica dall’altro l’una contro l’altra armate. Pochi tra i protagonisti della scena intellettuale del secondo dopoguerra ebbero la lucidità di Geymonat, che era ben consapevole del carattere rivoluzionario delle sue idee. Tra questi vi era Paolo Boringhieri (1921-2006). Figlio di una famiglia svizzera, ingegnere appassionato di filosofia, convinto che la modernizzazione della società italiana passasse attraverso la diffusione delle conoscenze scientifiche, arrivò a conclusioni simili a quelle geymonatiane per vie assai diverse.

La storia della gloriosa casa editrice che porta il suo nome (cui si è aggiunto nel 1987 quello di Giulio Bollati) rappresenta anch’essa una reazione a quella temperie culturale ed è uno degli episodi più emblematici dell’atteggiamento adottato persino dal meglio della cultura italiana del tempo – salvo pochissime eccezioni – nei confronti della scienza. Il neoidealismo di Croce – proprio perché espressione di un grande intellettuale che pure si era battuto per la libertà – attecchì nel dopoguerra, con la sua impronta storicista e letterario-umanistica, anche tra gli intellettuali della sinistra e del Pci. La casa editrice Einaudi in realtà si era dotata di una divisione dedicata alle scienze, le Edizioni Scientifiche Einaudi, ma non con molta convinzione. Dal 1949 Boringhieri ne fu nominato responsabile, e lavorò in quella sorta di sede distaccata dell’editore di via Biancamano che era la «repubblica autonoma di via Brofferio». Nell’estate del 1956, annunciando la pubblicazione dell’autobiografia scientifica di Max Planck, Boringhieri la presentò nel Notiziario per le librerie con parole che dichiarano un preciso impegno programmatico: «Il nuovo umanesimo, l’umanesimo scientifico dell’epoca moderna, non può più permetterci di conoscere quello che dicono e pensano i filosofi, politici, artisti, ignorando quello che dicono e pensano gli scienziati».

Meno di un anno dopo, il 1° aprile del 1957 – e la data sembra quasi uno scherzo – Boringhieri, in seguito a una prima crisi finanziaria della Einaudi, ne rileva cinque collane che egli stesso aveva contribuito ad accrescere: la collana «azzurra», «Biblioteca di cultura scientifica», per i testi sulle scienze più dure; la collana «viola», «Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici»; la collana «marrone», «Biblioteca di cultura economica»; i manuali universitari; e infine una collana di testi pensati per l’industria. In tutto sono 146 titoli, un buon punto di partenza per un progetto editoriale che, da costola minore di un grande editore di cultura, vuole assumere una forte caratterizzazione autonoma, che in effetti avrebbe poi conquistato nei decenni successivi con imprese editoriali memorabili, di lungo periodo ed economicamente sostenibili. Basti pensare alle edizioni delle opere complete di Freud e di Jung: due imprese titaniche, finanziate in proprio, senza alcun apporto esterno, e di notevole successo commerciale. Altrettanto coraggiosa e lungimirante fu la Storia della tecnologia (1961-1984). Ma a Boringhieri si deve soprattutto, com’è noto, la pubblicazione sistematica delle opere di Einstein, vera e propria icona della scienza del Novecento, di cui si accaparrò i diritti, e di tutti i protagonisti della fisica, Bohr, Fermi, Heisenberg, Pauli, Dirac, Born, Schrödinger, Oppenheimer, Feynman; di classici della scienza come Galileo, Eulero o Buffon, nonché dei principali protagonisti della biologia (L’origine delle specie di Darwin, pubblicata nel 1959 per il centenario) , dell’etologia (Lorenz, Frisch, Eibl-Eibesfeldt, Mainardi) della logica e della matematica (Frege, Turing, Riemann, Wittgenstein, Kripke, i cinque volumi delle opere complete di Gödel) , dell’etnografia contemporanea (De Martino), della storia delle religioni e dei miti (Eliade, Kerényi, Jesi).

Nella plaquette preparata per festeggiare i sessant’anni della casa editrice se ne descrive bene lo spirito iniziale: «L’idea originaria di Paolo Boringhieri, sviluppata già a partire dal dopoguerra, è precisa: nel panorama editoriale italiano manca una casa editrice con una chiara progettualità, che prenda sul serio, in tutta la sua portata rivoluzionaria, il cambiamento culturale favorito dal tumultuoso avanzamento delle scienze nel Novecento». Anche le scelte riguardanti le scienze umane sono ben calibrate, scevre da irrazionalismi e da filosofie alla moda.

I primi volumi di Boringhieri, rilevati con l’acquisizione del 1957, arrivarono in libreria con il logo dello struzzo einaudiano ancora in copertina. E a rivedere oggi quelle copertine appaiono bellissime, e i loro temi per niente strani: forse perché da più di un ventennio, sull’onda dei successi internazionali della divulgazione di qualità, l’Einaudi pubblica molti libri di scienza, tra cui anche veri best-seller. Così si sono rimescolate le acque, e quell’idea di unità della cultura non si può dire che, magari con qualche ambiguità, non abbia fatto strada. Anche nella direzione opposta, se è vero che nel 1987, quando Bollati entrò e aggiunse il suo nome alla casa editrice, dichiarando di non voler tradire lo spirito di Boringhieri, ne volle allargare i temi di interesse. Nel 1991 in un’intervista commentò così queste sue scelte: «La nostra casa continua, vuole rafforzare e rinnovare il programma scientifico portato avanti da Paolo Boringhieri, ma vi ha aggiunto la letteratura e ha accentuato la militanza culturale nell’attualità. Il virus dell’antica Einaudi continua a proliferare». Sono gli anni in cui la casa editrice punta anche sulle scienze sociali e sulla ricerca storiografica, e in quest’ultimo contesto è d’obbligo ricordare un libro chiave come Una guerra civile di Claudio Pavone.

 

Se l’intento era conferire valore e bellezza a discipline che, negli schemi neoidealisti, sembravano aride o ancillari, bisogna dire che l’operazione è magnificamente riuscita; e continua oggi, dopo che nel 2009 la casa editrice è stata acquisita dal gruppo GeMS, che prosegue la tradizione di alta divulgazione scientifica (Lederman, Stewart, Al-Khalili) e che nel 2010 è riuscita a trasformare in best-seller Il libro rosso di Jung, un volumome dal costo di 190 euro. Una continuità che si racchiude nella saggezza e lungimiranza con cui Boringhieri scelse il suo magnifico logo. Il 9 febbraio 1958 scrive a Mazzino Montinari per chiedergli una buona riproduzione di una figura che proviene da un incunabolo di teoria musicale scritto da Franchino Gaffurio, maestro di cappella del Duomo di Milano, amico di Leonardo da Vinci. Nel suo Practica musicae, del 1496, la scala tonale coincide con l’ordine del cosmo, racchiuso nel celum stellatum. Musica, teologia, filosofia, cosmologia e matematica, si concentrano in un unico simbolo: quale migliore rappresentazione per l’«umanesimo scientifico» della casa editrice! La quale, peraltro, si è sempre avvalsa dei migliori designer – Enzo Mari in primis – per dare un’impronta di assoluta modernità alle proprie collane. Tra queste non va dimenticata l’«Enciclopedia di autori classici», curata da Giorgio Colli a partire dal 1958, straordinaria per la nonchalance con cui inseriva libri di scienza tra classici di letteratura e di filosofia. Si inizia con Nietzsche (Schopenhauer come educatore: e qui verrebbe da raccontare la storia di un altro editore nato da una costola dell’Einaudi, Adelphi) e il secondo volume è dedicato alla disputa tra Leibniz e Newton sulla nascita del calcolo infinitesimale; seguono Voltaire, Holderlin, Bayle, Goethe, il Pascal scienziato del Trattato sull’equilibrio dei liquidi. E ancora: Leopardi, Hume, Stendhal, Adam Smith, Spinoza, Eschilo, Darwin, Einstein, fino alle opere della tradizione orientale, per disegnare un’idea di classicità non comune, in cui le Opere di Ippocrate, Il chimico scettico di Robert Boyle e le Osservazioni su Diofanto di Fermat hanno pari dignità e pari diritto di presenza del Simposio di Platone, dell’Etica di Spinoza e delle Ultime lettere di Dostoevskij…

A volte basta leggere in fila i titoli di un catalogo per sentirsi partecipi di un mondo pieno di intelligenza e di bellezza.

Bollati Boringhieri festeggia i suoi «sessant’anni di cultura scientifica» a Tempo di libri, a Milano, al Planetario, venerdì 21 aprile, con una serata dal titolo «L’alfabeto dell’universo. Le opere che hanno cambiato il mondo. Monologo per parole e immagini di Gabriella Greison». Seguirà un dialogo dell’autrice con Vincenzo Barone e Giulio Giorello.

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