Per il tribunale di Rieti, non è risarcibile il danno non patrimoniale da perdita del proprio animale da affezione perché non rientra tra gli interessi costituzionali della persona
di Annamaria Villafrate – Il Tribunale di Rieti è chiamato a pronunciarsi su una vicenda piuttosto complessa che ha per protagonista una cagna di razza con pedigree in stato di gravidanza, morta per tutta una serie di eventi concatenati tra loro, innescati dall’ingestione di un guscio di noce e altre sostanze non commestibili. Sia il proprietario che i medici veterinari che si sono occupati dell’animale hanno commesso errori. Il giudice ha infatti ritenuto che la responsabilità sia da ripartire tra medici e proprietario nella misura del 50%. Padrone a cui la sentenza n. 347/2019 (sotto allegata) ha negato il risarcimento del danno non patrimoniale per la perdita del proprio cane da affezione perché la morte di un animale non lede alcun valore della persona costituzionalmente protetto.

I fatti: l’intervento e la morte dell’animale

Il proprietario di una cagna di razza con pedigree e in attesa di sei cuccioli, preoccupato dello stato di salute del suo animale, si rivolge a un centro veterinario. Una dottoressa del centro sottopone l’animale ad analisi del sangue ed ecografia. Dagli esami l’intestino e l’esofago risultano privi di ostruzioni. A causa dello stato di gravidanza dell’animale si decide di non sottoporla a radiografia.
Il proprietario, non rilevando alcun miglioramento, nel pomeriggio decide di riportare l’animale presso il centro veterinario che aveva già visitato la cagna, insistendo per sottoporla a radiografia, che rivelava un “volvolo intestinale.” La cagna viene quindi sottoposta a laparotomia, le viene estratto un guscio di noce, ma il chirurgo non rimuove la necrosi presente a monte del taglio.
Neppure l’intervento fa migliorare le condizioni di salute dell’animale. Per questo il proprietario decide a questo punto di portare l’animale in una clinica della capitale, attrezzata per la degenza, dove però la cagna muore dopo qualche ora.

I danni patrimoniali e non patrimoniali

A questo punto il proprietario della cagna conviene in giudizio i medici nei cui confronti avanza domanda risarcitoria per i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti per la perdita del suo animale.
Danni patrimoniali richiesti a vario titolo, anche per le spese mediche sostenute e danno morale derivante dalla perdita dell’animale cagionata da fatto illecito, ai sensi dell’art 544 c.p, poiché la sua persona si realizzava attraverso la cura della sia cagna.
Per ottenere il risarcimento delle voci di danno specificate nella domanda, il proprietario conviene tutti i medici che si sono occupati dell’animale in via solidale per negligenza, imperizia e imprudenza. Nel curare la propria cagna, se fosse stata subito effettuata una radiografia, i medici avrebbero rilevato la presenza di corpi estranei nell’intestino dell’animale, lo avrebbero estratto per tempo, salvando così la vita dell’animale. Contesta inoltre al chirurgo la mancata esportazione della necrosi, l’errata cura post operatoria e la falsa propaganda relativa al servizio di degenza, risultato poi assente.

Proprietario responsabile in concorso ex art. 1227 c.c.

La dottoressa convenuta contestava la responsabilità addebitatale in quanto la radiografia, che veniva effettuata successivamente non era stata praticata all’animale perché avrebbe potuto recare danni ai feti. Ella ritiene il proprietario responsabile in concorso ai sensi dell’art 1227 c.c., poiché il cane avrebbe ingerito la noce a causa della scarsa vigilanza del padrone.
Il chirurgo e l’altro convenuto deducono invece che l’intervento è stato eseguito a regola d’arte e che la cura successiva a cui è stata sottoposta la cagna era corretta. Fanno presente infatti che la responsabilità della morte dell’animale è semmai da imputare al tardivo intervento del padrone e alla decisione di portarlo a Roma, contestando le richieste risarcitorie e chiedendo una ripartizione interna delle colpe individuali per esercitare così l’azione di regresso.

I profili di responsabilità

Il Tribunale di Rieti, con la sentenza n. 347/2019 accoglie la domanda del proprietario, con alcune precisazioni. Il giudice fa presente che dal corredo probatorio prodotto è emerso che “la cagna è deceduta per arresto cardio circolatorio, conseguente un grave shock settico determinato dalle lesioni riportate dall’organismo a seguito dell’ingestione di noci, che avevano determinato un volvolo intestinale, operato chirurgicamente.” Per il proprietario gli unici responsabili della morte sono i tre convenuti, per questi invece il visto che la prestazione sanitaria è da considerarsi esente da errori, il decesso è riferibile alle complicanze conseguenti dall’ingestione della noce.
“Nel caso di specie, l‘attore ha provato l’erroneità e l’inadeguatezza dell’attività professionale dei convenutiil danno subito (sebbene entro i limiti di seguito indicati) ed il nesso di causalità concorrente tra la condotta dei sanitari ed il danno, mentre i convenuti non hanno provato di avere eseguito la prestazione con la diligenza impostagli dall’art. 1176, comma 2, c.c.” Per questo deve affermarsi la responsabilità concorrente dei convenuti nella misura del 50% ciascuno, in solido per la morte dell’animale di proprietà dell’attore.
Per quanto riguarda invece il concorso di responsabilità gravante sul proprietario ai sensi dell’art. 1227 c.c è emerso dalla Ctu che il padrone ha in effetti fornito ai medici veterinari che si sono occupati dell’animale, informazioni incomplete e frammentarie sulle abitudini del cane a ingerire qualsiasi cosa le capitasse a tiro, per non parlare del ritardo con cui il padrone ha comunicato l’ingestione del guscio di noce che ha causato il malessere all’animale.
Il padrone si è reso inoltre responsabile di aver somministrato dell’acqua animale, mentre avrebbe dovuto portarlo immediatamente dal veterinario. Tale iniziativa ha infatti innescato tutta una serie di eventi precedenti e concomitanti che hanno portato alla morte dell’animale e che non sono imputabili ai sanitari.

La perdita dell’animale non è lesione di valore costituzionalmente protetto

Alla luce di tutte le suddette considerazioni riconosce al proprietario il risarcimento del danno patrimoniale, mentre respinge quella relativa al danno non patrimoniale per la perdita dell’animale perché: “la condotta dei convenuti non integra gli estremi di alcun reato (art. 2059 c.c. e art. 185 c.p.). Ed infatti non può ritenersi che il comportamento dei convenuti possa integrare, sul piano oggettivo e soggettivo, il reato di cui all’art. 544 bis c.p., che è reato doloso, dove la locuzione “per crudeltà o senza necessità” rappresenta una clausola di illiceità speciale. Né può soccorrere la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., affermata da Cass. 31.5.2003 n. 8827 e Cass. 31.5.2003 n. 8828, nonché da Corte cost., 11.7.2003 n. 233, in quanto la morte di un animale non costituisce lesione di alcun valore della persona costituzionalmente protetto (…) Infatti, gli interessi della persona di rango costituzionale sono solo i diritti fondamentali dell’individuo, quelli cioè rientranti nel nucleo primigenio della tutela della persona, inalienabili e incoercibili e tra questi non rientra l’affezione, pur intensa, che si possa provare per un animale.”
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