Maggiorate, ma super toniche. Formose, ma col vitino da vespa: nel decennio che consacrato i 90-60-90 nasce anche l’ossessione per le diete e la magrezza

Le ragazze si stavano giusto rilassando, convinte che ormai le forme da pin up fossero passate di moda. In loro soccorso era arrivata Audrey Hepburn, che negli anni Cinquanta e Sessanta aveva sdoganato un fisico opposto a quello della donna prosperosa e con il vitino da vespa. Negli anni Settanta, poi, pantaloni a zampa e minigonne avevano democraticamente cancellato l’esigenza di sfoggiare il punto vita, spostando l’attenzione sulle cosce, magre o tornite che fossero. Gli anni Ottanta, a maggior ragione, erano stati il paradiso delle ragazze allampanate (oppure normali e con poco seno): il mito del fitness, il fisico asciutto di Brooke Shields nel film «Laguna blu» e il petto scarno di Christy Turlington, modella e testimonial di Calvin Klein, avevano tolto alle ragazze molta ansia da prestazione. L’idea dominante era che un corpo armonico e senza caratteri accentuati andasse benone. Con i jeans a vita alta si poteva nascondere quel po’ di eventuale pancetta, le maglie ampie scoprivano le spalle distogliendo l’attenzione dal seno. La moda era a portata di mano.

Maggiorata? Meglio tonica

Ma negli anni Novanta qualcosa si rompe. I canoni cambiano

improvvisamente. Torna la maggiorata, le misure 90-60-90 tipiche delle dive anni Cinquanta si impongono nuovamente con prepotenza. In tivù, sulle passerelle e sulle riviste. Ma se i fantastici Fifties concedevano a Marilyn Monroe – e a tutte le donne – qualche centimetro in più sui fianchi (la Diva, per esempio, misurava 94-58-92 per un metro e 66), negli anni Novanta il fisico doveva essere perfettamente a clessidra. Tonico e asciutto sotto il punto vita, sinuoso sopra. Preferibilmente anche un po’ ballonzolante.

Tutta colpa di Pamela

Colpa di Pamela Anderson, bagnina sexy di Baywatch che con quella malefica tavoletta rossa ha corso e ricorso lungo la spiaggia di Los Angeles per tutta la decade (dal 1992 al 1998). Misure: una prorompente terna 100-60-92.
Colpa anche delle super-ultra-top model, figure professionali che nascono proprio negli anni Novanta imponendo bellezze come Claudia Schiffer, Cindy Crawford, Naomi Campbell, Elle Mc Pherson, Linda Evangelista. Per le donne normali inizia la rovina. Queste ragazze statuarie hanno tutto: sono alte, magre, sode. Con l’aggiunta delle tette. La grande frenesia attorno al corpo femminile si comincia a costruire qui, in questa decade-monstre fatta di celebrities, copertine di “Sport Illustrated”, party glamour, serie tv e sfilate. Il mantra per una donna à la page sembra essere palestra-vestiti-mastoplastica additiva. Perché le misure da sole non bastano più: la triade 90-60-90 deve essere anche scolpita, lucidata, levigata.

Il potere di un fondoschiena

È a partire da questo momento che la pubblicità comincia a sfruttare prepotentemente il corpo femminile nella sua nuova accezione, tutta muscoli, fondoschiena a cuore e seni abbondanti. Basti pensare agli slip Roberta, dove una Michelle Hunziker giovanissima sfoggia un lato B perfetto. O agli spot dei bagnoschiuma, delle creme solari, del Martini (quella era Charlize Theron). Un nuovo modello si impone, anche al cinema (pensiamo a Demi Moore e Kim Basinger, magre ma sinuose). E la perfezione sembra sempre più irraggiungibile. Risultato: cominciano i dimagrimenti di massa, le manie per le diete, l’attenzione ossessiva per il peso. Non è un caso che si inizi a parlare di anoressia tra le modelle proprio tra la fine degli anni Novanta e il debutto dei Duemila. Ma il problema travalica le passerelle, si insinua nella società.

Se non ci fossero le curvy…

Molte ragazze si ammalano nella ricerca di un corpo perfetto. Dovranno passare quasi dieci anni prima di vedere le prime campagne pubblicitarie contro l’anoressia – famosa quella firmata da Oliviero Toscani, che nel 2007 fotografò la modella Isabelle Caro, arrivata a pesare 31 chili (e poi morta a causa della malattia) – e le prime iniziative istituzionali prese dalla Camera nazionale della moda e dal ministero per le Politiche giovanili (come il Manifesto nazionale di autoregolamentazione contro l’anoressia). Nel frattempo le cose non sono molto cambiate: certo, oggi si parla di più di curve, di moda per taglie comode e di modelle cury, si esaltano le forme delle “donne vere”. Ma i corpi statuari delle top model sono rimasti nell’immaginario comune. E si sono riversati nei fisici delle nuove generazioni di celebrities, dagli angeli di Victoria’s Secret alle attrici di Hollywood.

Alla (disperata) ricerca della cellulite

L’impressione è che sotto sotto, nonostante la maggiore consapevolezza delle donne e il dibattito pubblico sul corpo femminile, di quel 90-60-90 scolpito e patinato non ci libereremo mai del tutto. Con buona pace delle pinup, che la terna terribile l’hanno introdotta ma non portata all’estremo. A differenza delle super top, infatti, le bombe sexy anni Cinquanta erano burrose. Diciamocelo: ci siamo sempre tutte consolate pensando che avessero la cellulite. Ecco, Claudia & co questa consolazione non l’hanno mai concessa.

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